
Tra la folla raccolta davanti alla basilica di Santa Maria Maggiore, Ciro Vincolo siede in silenzio ai piedi dell’obelisco. Ha viaggiato da Napoli per un ultimo saluto a chi, senza clamore, gli ha cambiato l’esistenza. La sua è una storia fatta di ricerca, ferite e riconciliazione. Fin da ragazzo aveva sentito forte la vocazione religiosa, ma la scoperta della sua omosessualità e il rifiuto incontrato lo spinsero lontano dalla Chiesa. “Usavano parole della Bibbia per giudicarmi”, racconta.
Anni difficili, segnati dalla solitudine, fino a quella frase pronunciata da Papa Francesco nel 2013: “Se una persona è gay, chi sono io per giudicare?”. Una scintilla, che riaccese una speranza. Grazie a don Andrea Conocchia e a suor Geneviève, Ciro riuscì a scrivere al Papa. Le loro lettere, e poi due incontri personali, hanno costruito un ponte che sembrava impossibile.
Sul suo cellulare, conserva una foto che racconta tutto: lui e Francesco, insieme. “Mi disse di non avere paura, di ricordarmi che Cristo ama tutti”, sussurra Ciro. Parole semplici, che gli hanno ridato fiducia e riportato verso il Vangelo.
Ora, mentre il mondo saluta Papa Francesco, Ciro lancia un messaggio chiaro: “Non dimentichiamo l’apertura che lui ha portato. Leggiamo il Vangelo con occhi d’amore. È facile tornare a chiudersi. Ma sarebbe un tradimento della sua lezione”.
Sotto il sole di Roma, tra lacrime e preghiere, il seme piantato da Francesco continua a germogliare.