
Il 2 aprile scorso sono entrate in vigore le nuove pesanti tariffe imposte dagli Stati Uniti sulle esportazioni mondiali, con aliquote che variano dal 10% per il Regno Unito al 54% per la Cina. Questo provvedimento ha scosso i mercati finanziari: il giorno successivo, le Borse hanno visto un crollo di 6.600 miliardi di dollari, tre volte il Pil dell’Italia. Secondo Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance, la strategia protezionistica di Donald Trump rischia di danneggiare il commercio globale e, paradossalmente, anche gli Stati Uniti.
“Pensare che le filiere globali possano essere smontate e ricostruite entro i confini degli Stati Uniti nel giro di pochi mesi è irreale“, afferma Livolsi, evidenziando le difficoltà pratiche e i costi elevati per le imprese, in particolare quelle manifatturiere. Nel frattempo, l’Europa rischia di subire un duro colpo da questa nuova fase di protezionismo, con Paesi come l’Italia che devono fare i conti con un debito elevato e regole fiscali rigide.
Per Livolsi, la risposta europea deve essere coordinata, equilibrata e mirata: “Le banche centrali devono muoversi con flessibilità“, evitando politiche troppo restrittive o espansive. Guardare ai nuovi mercati emergenti, come i BRICS e l’Africa, è essenziale per rilanciare l’economia, ma non basta esportare un buon prodotto. Serve un salto culturale, investendo in marketing e storytelling per adattare le nostre eccellenze alle specifiche esigenze dei mercati locali.