L’introduzione delle “zone rosse” a Pozzuoli, in linea con le misure di sicurezza pubblica previste dal Viminale, solleva dubbi e preoccupazioni. Queste aree, in cui si prevedono limitazioni per alcune categorie di persone considerate “pericolose“, potrebbero avere effetti collaterali significativi, stigmatizzando interi quartieri della città e creando una divisione sociale.
Le zone rosse sono concepite per permettere l’allontanamento di individui con precedenti penali o definiti come “pericolosi“, ma il criterio di chi viene considerato tale rimane incerto. Chi stabilisce i parametri di pericolosità? E come si bilancia questo provvedimento con il diritto alla libertà di movimento, sancito dalla Costituzione?
La critica maggiore a queste misure riguarda il rischio di spostare il problema della sicurezza senza affrontarne le cause profonde. Le politiche di prevenzione e inclusione sociale, infatti, sono spesso quelle più efficaci per garantire la sicurezza e la vivibilità di un territorio. Ma se le zone rosse sembrano una risposta rapida, la vera soluzione sta nell’investire in cultura, lavoro e istruzione, creando opportunità per tutti, non erigendo muri invisibili.
Secondo la Magistratura Democratica, le zone rosse rappresentano una “compromissione della libertà di circolazione” e rischiano di penalizzare, in particolare, le persone migranti, un gruppo già vulnerabile. A seguito delle proteste contro il Ddl sicurezza, che ha suscitato ampie critiche in tutta Italia, le forze dell’ordine hanno intensificato i controlli a Napoli e in provincia, estendendosi da Pozzuoli a Pompei, San Giorgio a Cremano e Castellammare di Stabia.
Pozzuoli, come altre città, merita politiche che promuovano l’inclusione, non divisioni. La vera sicurezza passa dall’unire, non dal separare.