Francesco Acerbi torna a parlare. Dopo due settimane a dir poco burrascose, il difensore nerazzurro ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera dove ha ribadito la sua innocenza e l’infondatezza delle accuse: “Sono triste e dispiaciuto: è una vicenda in cui abbiamo perso tutti. Quando sono stato assolto, ho visto le persone attorno a me reagire come se fossi uscito dopo dieci anni di galera, molto contente di essere venute fuori da una situazione del genere: sono state giornate molto pesanti.
Perché parlare adesso? Avevo fiducia nella giustizia e non volevo rischiare di alimentare un polverone che era già enorme – dichiara Acerbi. Adesso che c’è una sentenza, vorrei dire la mia senza avere assolutamente nulla contro Juan Jesus, anzi è il contrario perché sono molto dispiaciuto anche per lui. Ma non si può dare del razzista a una persona per una parola malintesa nella concitazione del gioco. E non si può continuare a farlo anche dopo che sono stato assolto“.
L’ex Lazio ha poi proseguito: “Liberazione dopo la sentenza? Lo è stata, ma nella liberazione sono comunque triste per tutta la situazione che si è creata, per come era finita in campo, per come ci hanno marciato sopra tutti senza sapere niente. Anche dopo l’assoluzione ho percepito un grandissimo accanimento, come se avessi ammazzato qualcuno. Questa non è lotta contro il razzismo – precisa il centrale 36enne – non c’è stato nessun razzismo in campo e io non sono una persona razzista: il mio idolo era George Weah e quando mi fu diagnosticato il tumore ricevetti una telefonata a sorpresa da lui che ancora oggi mi emoziona. Si sta solo umiliando una persona, massacrando e minacciando la sua famiglia, ma per che cosa? Per una cosa che era finita in campo e nella quale il razzismo non c’entra nulla. Il razzismo purtroppo è una cosa seria, non un presunto insulto”.