Per gli inquirenti potrebbe non essere l’unico responsabile della rissa sfociata in sparatoria nella quale ha perso la vita Santo Romano, il ragazzo di 19 anni deceduto a causa delle gravissime ferite riportate dopo essere stato raggiunto al petto da un colpo di arma da fuoco mentre, con un gruppo di amici, era a San Sebastiano al Vesuvio (Napoli). Ma nel frattempo il 17enne, in stato di fermo dalla serata di ieri, ha fatto le prime, sostanziali ammissioni. Una confessione resa al giudice della Procura per i minori che l’ha ascoltato dopo che era stato prelevato dai carabinieri della compagnia di Torre del Greco nei pressi della sua abitazione, nel quartiere napoletano di Barra. Ma i militari continuano ad indagare per cercare di risalire all’identità dei giovani e giovanissimi protagonisti della rissa nata per un pestata e una conseguente scarpa “sporcata”.
Il ragazzo è stato individuato velocemente dagli inquirenti: ad incastrarlo la minicar con la quale si è allontanato da piazza Raffaele Capasso dopo la sparatoria nella quale è rimasto ferito un altro ragazzo di 19 anni, amico di Santo Romano, che era portiere della squadra di Eccellenza del Micri. La stessa vettura indicata da più presenti: per qualcuno sarebbe stata lì già durante la rissa, per altri si sarebbe spostata per poi ripresentarsi poco prima degli spari. Sta di fatto che quella vettura, che si vede nelle immagini di videosorveglianza sequestrate dai carabinieri, era stata fermata appena il giorno prima per un controllo: in sella proprio il 17enne, volto noto alle forze dell’ordine per precedenti legati in particolare alla droga e un arresto con custodia nel carcere minorile di Nisida conclusosi da non molto. Il ragazzo, al giudice che l’ha sentito durante le fasi dell’emissione del decreto di fermo nel centro di prima accoglienza dei Colli Aminei, avrebbe prima provato a discolparsi, poi avrebbe ammesso di avere sparato.
Gli inquirenti, però, intendono capire chi c’era insieme a lui nella notte tra venerdì e sabato. E per farlo, stanno anche esaminando le foto presenti sui profili social del minorenne in stato di fermo. Scatti che, insieme alla immagini visionate a più riprese, potrebbero dire tanto, anche perché in più di uno scatto si inneggerebbe all’uso delle armi.